Di Tiziana Ciampolini, S-nodi, Caritas
Permettere a più persone possibili di stare bene è la sfida della nostra Europa che ha sempre investito sul welfare, sul prendersi cura uno dell’altro.
È la sfida di una intera società che si impegna per allestire le condizioni perché i suoi membri possano avere una vita dignitosa, una vita buona ed essere felici.
Essere felici in questo caso significa non essere contenti ogni tanto, ma sentire che – nonostante tutte le difficoltà – la vita vale la pena di essere vissuta.
Le persone stanno bene quando sono nelle condizioni di poter compiere delle scelte, quando possono esercitare la propria libertà sostanziale, quando possono realizzare ciò a cui danno valore, quando possono esprimere le proprie potenzialità, quando si sentono incluse nella società, quando hanno fiducia nelle istituzioni, quando si sentono supportate nei momenti di difficoltà, quando possono esprimersi con generosità.
Dopo la crisi economica per Caritas è stato subito chiaro che interventi di contrasto alla povertà non possano essere più realizzati come avveniva prima della crisi. Gli interventi dovevano essere più efficaci (perché sempre più persone sono povere), quindi non potevano più coinvolgere singole persone in difficoltà, ma dovevano essere rivolti ad interi sistemi territoriali.
Per facilitare questi processi è nato un programma nazionale di Caritas, “Azioni di sistema contro la povertà” per sviluppare iniziative di reciprocità e di sussidiarietà e per favorire la corresponsabilità nella costruzione di una vita più civile per tutti.
Storie di comunità civili
Nelle città, nelle periferie, nei territori urbani nodali, là dove c’è una comunità, là dove ci sono interessi comuni, assistiamo al sorgere di nuove iniziative, si innalzano nuove voci, prendono forma nuove azioni, si irrobustisce una nuova idea di cittadinanza: persone e nuove forme organizzative che hanno voglia di essere attivi, di costruire idee, progetti, di raggiungere risultati.
Queste esperienze mettono al centro la collaborazione, la fiducia, la condivisione, il dono, la gratuità, la trasformazione di scarti in risorse. Quando si parla di loro usano degli attributi diversi: sharing economy, economia del noi, economia circolare, economia collaborativa, economia civica, economia pubblica.
Chiamiamole come vogliamo, sono espressione di una nuova società civile in cui si fa strada un nuovo tipo di comunità: aperta, generosa, concentrata su ciò che è comune. Una comunità che non vuole preservare la comunità stessa ma è orientata a produrre nuovi beni da mettere in comune.
In questo tipo di comunità nascono esperienze che contraddicono la visione dell’homo oeconomicus – chiuso nell’universo della proprietà privata e dell’interesse personale – aprendo all’homo reciprocans capace di stare nello spazio aperto che ciò che è comune apre.
Costruire lo spazio per la sussidiarietà
Diventa di fondamentale – come affermava Elinor Ostrom – premio Nobel per l’Economia nel 2009 – avere a disposizione un contesto istituzionale che possa favorire le condizioni per una efficace ed efficiente gestione collettiva delle risorse comunitarie, stimolando l’atteggiamento cooperativo, supportando con incentivi questi processi. Elinor Ostrom era una politologa americana che ha passato tutta la vita sul campo, in prima persona, a dialogare e a raccogliere dati su come le comunità locali si impegnano per risolvere dei problemi di interesse comune.
Ha sfidato il paradigma dell’homo economicus e ha dimostrato che non è vero che la maggior parte delle persone e delle organizzazioni agiscono per self interest: prevalgono i generosi, le persone e le organizzazioni interessate a risolvere problemi comuni.
Nell’ultimo decennio – il tempo del cambiamento radicale – con gli strumenti dell’economia della conoscenza e della politica della creatività, è davvero possibile sviluppare contesti in cui un gran numero di persone hanno la possibilità di usare le risorse creative, di discutere, di prendere decisioni per creare nuove risorse sociali per la collettività. Si manifestano così le condizioni per la creazione di una società più civile perché è in partenza rispettosa della dignità, dei diritti e della libertà di scelta delle persone. La società civile non è più una parte della società – tradizionalmente il luogo in cui agiscono quei soggetti che non sono istituzionali – ma è l’attributo di tutta la società.
Per una società della sussidiarietà, quindi civile
Una società siffatta è una una comunità che agisce sulla base del principio di sussidiarietà, una società non ideologica ma piena di idee vive che trova il suo collante nell’impegno a costruire il bene comune: è interessata a cosa le persone sanno fare e cosa sono disponibili a mettere in comune e favoriscono tutte le regole che incentivano la crescita del capitale sociale.
La società sussidiaria è composta di soggettività solidali che si assumono responsabilità perché sanno che la sfida dell’essere civili passa attraverso la capacità non solo di includere chi è più fragile ma soprattutto di tenere “insieme i diversi pezzi” della società perché ciascuno è co-essenziale alla vita buona.
La sussidiarietà è un principio difficile ma spiegato all’articolo 2 della nostra Costituzione: “è riconosciuto il valore sociale degli Enti del Terzo Settore, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura della pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà di pluralismo, ne è promosso lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed autonomia e ne è favorito l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali”.
La società sta in piedi se ci sono due pilastri: una è la solidarietà, l’altro è la sussidiarietà: la solidarietà contribuisce a far crescere la dignità di ogni persona, la sussidiarietà è fatta di regole che uno Stato deve costruire per favorire le iniziative autonome dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Ecco allora il ruolo delle autorità pubbliche che si devono occupare di creare le condizioni perché le persone e le organizzazioni siano responsabilizzate a co-costruire non solo obiettivi sociali ma anche a trovare soluzioni per raggiungerli.
Nella sussidiarietà nasce il dialogo tra mondi diversi: tra lo Stato, i cittadini, il Terzo Settore, le imprese e le scuole.
Il dialogo si struttura attraverso partenariati tra pubblico, privato, profit e no profit tra tutti quei soggetti interessati allo sviluppo creativo e generativo del capitale sociale locale, tutti coloro che sono orientati verso soluzioni sostenibili, capaci di valorizzare la messa in comune di risorse private, la risocializzazione dei rischi e la condivisione dei bisogni.
Da queste collaborazioni stanno crescendo nuove organizzazioni ibride e forme di governance plurali davvero spiazzanti perché hanno il potere di contribuire a ridurre le distanze tra mondi, di costruire ponti tra mondo sociale e mondo economico che qualcuno considera ancora inconciliabili perché separati dalla logica dell’utilitarismo. Crediamo che sopra l’utilitarismo possa crescere il senso per bene comune: per il suo sviluppo lavoriamo senza posa.