Di Beatrice Cerrino, Scuola di Economia Civile
Energie.
Dove prenderle? Come rigenerarle?
Due idee che hanno sempre motivato, spinto e accompagnato la mia vita di insegnante: ‘daimon’ e ‘responsabilità’.
Daimon è una parola greca antica, inventore Socrate, che si riferiva al demone posto a metà strada tra il divino e l’umano: dèmoni propizi, che stanno sulla terra, custodi dei mortali. È la parte migliore di noi che parla, spinge ad agire e a perseguire la propria felicità, la propria ‘fioritura’.
L’origine più remota dell’idea di felicità la si trova nella cultura antica greca e romana, in particolare Aristotele aveva legato la felicità alle virtù e l’aveva distinta dal piacere. L’eudaimonia, così la chiamava, era un concetto che oggi dovremmo tradurre con ‘fioritura umana’ perché rimanda all’idea che la felicità sia uno stato generale dell’esistenza, e che quindi come tale abbia a che fare più con l’ ‘essere’ ed il ‘fare’ che non con il ‘sentire’. A Roma la ‘felicitas’, spesso abbinata con ‘publica’ fu un concetto fondamentale: felicitas rimandava alla generatività della vita e alla coltivazione delle virtù. E il verbo latino feo significa proprio produrre. Non è un caso che le immagini della felicitas publica– che ritroviamo anche nelle monete – rimandassero ai bambini, alle donne (spesso incinte) e all’agricoltura. Felicità è quindi fioritura umana.
I greci, in uno dei momenti epocali della storia umana – l’anima fondamentale della cultura romana successiva – capirono che stava iniziando “l’era degli uomini”, che potevano essere finalmente liberati dalla dea bendata, dalla sorte, e da tutta quella magia che domina sempre nelle culture basate sulla fortuna. Lo strumento di questa liberazione fu proprio la virtù (areté), poiché solo l’uomo virtuoso può diventare felice coltivando le virtù, anche contro la cattiva sorte.
È qui che inizia la responsabilità, perché si inizia a poter dire che il principale protagonista della nostra felicità (e infelicità) siamo proprio noi, e non gli eventi esterni, che certamente pesano nel nostro benessere, ma che non sono mai decisivi nel determinare la felicità. Ogni persona, quindi, ha una via all’eccellenza, ha un via alla virtù, quando scopre il suo daimon e lo segue.
E quando dal piano individuale si passa al piano economico e all’impresa, la logica non cambia.
Le energie, l’engagement, la creatività, l’eccedenza rispetto al contratto strettamente inteso dipendono da quanto realmente si crede nei piani di sviluppo societario, nei piani strategici, quanto sono stati creati con un processo partecipativo degli stakeholder, quando cioè incontrano il ‘daimon’ di ciascuno, nella delicata armonia tra una dimensione di senso e benessere ‘privato’ e ‘pubblico’. E la dimensione pubblica si gioca per la maggior parte del nostro tempo proprio nei luoghi di lavoro….
Allo stesso modo, l’affrancamento dalla sorte, l’esercizio delle virtù civili hanno molto a che fare con una dimensione di senso, personale e dell’agire economico, con il prendersi cura, con la responsabilità. L’impresa è responsabile verso il territorio, la comunità in cui opera, l’ambiente, le future generazioni.
Ed è responsabile verso i giovani.
Molti giovani oggi non sanno raccontare il lavoro dei propri genitori. Il lavoro è invisibile ai loro occhi. L’alternanza Scuola-Lavoro, quando realizzata seriamente, rappresenta un modo per colmare questa distanza, l’impresa può decidere di coglierne o meno lo slancio, non sarà risolutivo, però contribuirà nel costruire in loro la struttura portante della loro personalità, capace di aprirsi alle scelte importanti, di mettersi in gioco.
Starà poi a ciascuno interrogare il proprio daimon lavorativo e nella vita, con la spinta a seguirlo anche quando costa, accudirlo durante tutta l’esistenza, per non lasciarlo sfuggire, con questa idea antica e moderna che la vita funziona, fiorisce, quando ognuno trova il suo posto al mondo e che educatori e imprese, almeno quelle civili, non possono dimenticare.