Di Vittorio Pelligra, Università di Cagliari
Ne abbiamo troppi, di prodotti, oggi. Sono diventati un impedimento, più che una via al soddisfacimento dei bisogni. Ci riempiono le case, le borse, gli uffici, le città, le discariche, i mari. Non ne possiamo più, siamo circondati. Prodotti da buttare, sia per la quantità che per la qualità. Anzi più è bassa la qualità, maggiore sarà la quantità. Questo sembra essere stato il mantra delle imprese in questi anni. “Più tu butti, più io vendo”. Invece di soddisfare i nostri bisogni, queste merci ci creano problemi sempre più complessi da risolvere, minando ogni giorno di più, la sostenibilità del nostro stile di vita, del nostro modello economico. Non è più sostenibile, questo modello che produce ricchezza ma al contempo distrugge valore.
Ciò di cui abbiamo realmente bisogno sono, da una parte, beni intangibili, come la salute, l’istruzione, la cura, la bellezza, il senso; dall’altra, beni materiali fatti per durare, abbiamo bisogno di prodotti fatti bene. Entrambe queste prospettive puntano verso la sostituzione di una economia incentrata sulla produzione con un’economia fondata più sul concetto di “manutenzione”. Dobbiamo prenderci cura di ciò che abbiamo, renderlo sempre più bello, fruibile e capace di soddisfare bisogni veri: manu-tenere, tenere in mano, significa essenzialmente consentire ai beni di operare in rispondenza agli scopi per cui sono stati creati. E allora la natura e l’ambiente, in primis, le nostre relazioni sociali, poi, la salute, perfino le istituzioni e le regole che ci siamo dati per gestire la convivenza comune e poi le merci, fatte per durare, fatte bene. Nell’economia della manutenzione gli input produttivi più importanti sono “fattori” come la gratuità, l’intelligenza collettiva, l’empatia, la reputazione, il coinvolgimento dei consumatori, perché si produce già e si produrrà sempre più, non “per”, ma “con”.
Dobbiamo certo ancora attenderci qualche generazione di consumatori interessati più al “come” che al “perché”: come fare ad essere sempre più produttivi nel lavoro, come fare ad essere sempre connessi, come fare ad impressionare sempre più chi ci sta vicino; piuttosto che al chiedersi perché e se veramente valga la pena di fare ciò che la tecnica ci mette nelle condizioni di fare. Ma la strada dalla produzione alla manutenzione è segnata, il cammino è cominciato.
Le nostre società avanzate saranno in grado di continuare a produrre valore solo se inizieranno anche a produrre “senso”, una direzione, se si saprà porre come funzionale ad un progetto, coinvolgente e collettivo di progresso diffuso, equo e condiviso.
Dal know-how al know-why. Questa è la sfida che si pone al mondo della produzione di domani, già oggi. Questa è la sfida che imprese e consumatori devono iniziare ad affrontare insieme. Da una parte l’agire responsabile dei produttori, interessate, se lungimiranti, ad acquisire dotazioni sempre maggiori di capitale reputazionale; dall’altra la sensibilità dei consumatori, che oggi come mai, possono utilizzare il loro “voto col portafoglio” per premiare quei soggetti che in modo sostenibile per l’ambiente e per la società, producono valore condiviso e beni realmente utili e duraturi. In questo gioco, in questa relazione si può sviluppare un sistema economico funzionale al benessere integrale. Non vogliamo più solo merci, che mediano il rapporto tra persone, che ci allontanano dagli altri e dalla natura. Abbiamo piuttosto bisogno di beni, in quantità minore ma di qualità maggiore, che ci mettano in relazione, tra noi e con il mondo, che ci diano più opportunità, promuovano la nostra creatività e ci consentano di sviluppare nuove forme di libertà.