Di Mario Tancredi, Architetto, Politecnico di Milano e Università de La Salle di Bogotà
Le generazioni che ci hanno preceduto hanno sognato di possedere una propria casa, raggiunta dopo anni di stenti e provvisorietà; l’idea di avere una casa di proprietà (magari, anche più di una) ha coinciso con il concetto di proprietà e di patrimonio ed è stata una spinta molto forte nel nostro Paese, orientando scelte e investimenti. Le case si sono moltiplicate in pochi decenni in quantità, dimensioni e tipologie, in centro e in periferia, tra colline e borghi; case che accogliere la famiglia con i propri riti e spazi associati: la sala con la TV, la cucina per il pasto, una forte separazione tra zona notte e zona giorno. Magari un terrazzino, il garage, un giardinetto e/o un piccolo studio.
Oggi molto sta cambiando nel nostro modo di intendere l’abitazione, l’abitare-possedere la casa lascia il posto ad altri modi di abitare. Si vive in più case, si lavora nelle case (smart working), si vive tra più città, si convive per periodi più o meno lunghi con estranei (nuove piattaforme per l’affitto, cohousing).
L’Italia è il primo Paese in Europa per numero di case in relazione a quello delle famiglie, ma ci sono troppe “case senza abitanti” e troppi “abitanti senza case”. “Chi cerca casa e non la trova, chi ha molte case e le tiene vuote. Chi ha bisogno di una casa e non riesce a comprarla, chi continua a costruire case e non riesce a venderle. Paradossi dell’abitare in un Paese che ha costruito case a ritmo crescente, senza che questa iper-produzione edilizia abbia saputo rispondere a quella domanda di case che ancora è espressa da molte famiglie e giovani. Cresce la domanda di case, allo stesso tempo cresce l’offerta, ma queste due variabili non s’incontrano” (Granata, Casa. Piccolo alfabeto dell’abitare, Città Nuova, 2013). In questo modo sono sempre più numerose le persone che hanno difficoltà a trovare casa – giovani coppie, lavoratori, migranti, studenti universitari – o fanno molta fatica a sostenere il costo della casa in rapporto al reddito. Inoltre, cresce il numero dei “mal alloggiati”, persone costrette a vivere in condizioni precarie, con case troppo piccole o sotto dotate di servizi (magari senza il bagno in casa), che coabitano forzatamente con altri in condizioni di sovraffollamento, e il numero delle persone senza casa, costrette a ripari di fortuna.
Oggi molto sta cambiando nel modo di abitare le case. Mi guardo attorno, nella cittadina di provincia in cui vivo e vedo l’invenduto di molte case rimaste vuote, case che il mercato continua a produrre senza incontrare una domanda abitativa reale. Le case grandi di famiglia si sono svuotate. Sono silenziose, forse non sono più neppure abitate. Le case sono abitate sempre meno da famiglie e sempre più spesso da persone singole. Sono cambiate le famiglie, è cambiato il modo di lavorare. Se, per un lungo tempo che ci ha appena preceduto, la casa era un dato, un sito naturale che ospitava la famiglia e il suo futuro, un elemento di stabilità legato a un progetto e al suo sviluppo, se la casa era il segno esplicito di uno status, di una posizione sociale raggiunta o mancata, oggi non sono più così certe quelle variabili che rendevano vera l’equazione: un lavoro, una casa, una famiglia, un luogo, per tutta la vita. Tutto è più esposto alla precarietà e all’incertezza, al cambiamento possibile.
Questi cambiamenti nei modi di vivere e nella composizione della società ci chiedono di immaginare forme dell’abitare più consone ad ospitare la vita contemporanea, secondo cinque parole.
F come Flessibile: la casa oggi deve essere adattabile, deve cambiare con il tempo, saper accogliere le varie stagioni della vita, reagire alla riduzione/aumento dei suoi abitanti.
A come Accessibile: sia negli spazi interni con le dovute attenzioni a possibili disabilità dei suoi abitanti od ospiti, anche all’esterno: A come aperta, oltre che accessibile, adatta ad ospitare funzioni differenti da quella strettamente abitativa, come lavorare.
R come Reversibile: quante volte si trasformano i suoi ambienti, si modificano reti e infrastrutture, senza pensare che è sempre più frequente la necessità di cambiare assetto, ancora una volta configurazione, mediante l’impiego di materiali e strutture facilmente modificabili dagli abitanti (legno, prefabbricati, soluzioni temporanee).
S come Sostenibile: la casa è il primo luogo nel quale sperimentare comportamenti ecologici più virtuosi, dove ridurre impatti e sprechi, utilizzare nuove forme di energia.
I: come Integrata in un tessuto: ogni casa vive di relazioni, con il vicinato, con il quartiere, con la città. La cura della casa non può prescindere da un’attenzione alle relazioni urbane, come luogo dove le persone generano relazioni positive.
F.a.r.s.i potrebbe essere lo slogan di un nuovo progetto dell’abitare, attento alle persone e ai luoghi: un progetto di abitare aperto al futuro.