Di M.Cristina Foconi – Docente dell’ITES Caio Plinio Secondo di Como
“Lo scopo della scuola è quello di formare i giovani a educare se stessi per tutta la vita.” Robert M. Hutchins – pedagogista (1899-1977)
Non riesco a parlare di formazione di qualità nella scuola se non facendo due considerazioni preliminari. Anzitutto non posso ricostruire in poche righe tutti gli aspetti che hanno caratterizzato la mia “piccola” esperienza, quasi trentennale, nella scuola secondaria di II grado in istituti professionali e tecnici di Como, né tanto meno penso di poter rappresentare la Scuola italiana tutta. Come dice V. Andreoli “un insegnante” non è la “categoria-insegnanti” perché rimandando il vissuto individuale ad un denominatore comune “si perde la ricchezza delle caratteristiche di ciascuno, che la scuola non solo deve permettere ma favorire nella loro espressione”. (Lettera a un insegnante-2006)
La seconda considerazione mi porta all’emergenza Coronavirus che stiamo vivendo in questi giorni: stavo scrivendo una prima bozza di questo articolo proprio mentre eravamo bombardati dalle cattive notizie del contagio che portava a decisioni di misure restrittive anche per la scuola, misure che hanno spezzato il nostro ritmo regolare di frequenza scolastica, elemento anche esso fondamentale per la proficuità del processo di insegnamento e apprendimento; così ho deciso di capovolgere la mia narrazione; non ho più pensato di voler descrivere cosa nella normalità rende la formazione “di qualità”, ma piuttosto di raccontare cosa può generare la qualità della formazione quando la scuola si trova costretta a sospendere le lezioni e a ricorrere ad un’organizzazione d’urgenza e necessità.
Intanto ritrovo in molte delle comunicazioni fatte in questi giorni dai Dirigenti alle varie componenti della scuola (alunni, famiglie, docenti e collaboratori) le parole che più sono generative di senso e che più fanno sperare che in Italia ci sia una Scuola “civile”, che sa affrontare sia i disagi della normalità sia le urgenze della straordinarietà con buon spirito civico: si richiamano le relazioni di solidarietà nella comunità scolastica, il prendersi cura gli uni degli altri, la collaborazione e l’inclusione.
Altre parole accompagnano lo sforzo della formazione “di qualità” nella scuola e anche esse emergono come strategiche in tempi di difficoltà solo se già “tradotte in azioni diffuse” comunemente nella realtà delle varie scuole in temi ordinari: innovazione metodologica e digitalizzazione.
Certamente la formazione “di qualità” non è quella che si attua nell’aula con la porta chiusa, attraverso la lezione strettamente disciplinare, con un rapporto esclusivamente didattico tra un docente e i suoi alunni, né tanto meno con la prescrizione dei tablet come “la soluzione” per l’apprendimento o l’indicazione della flipped-classroom come metodologia realizzabile facilmente in ogni ambiente scolastico.
La formazione “di qualità” è quella che mette al centro la relazione tra persone che condividono una sfida educativa in un ambiente che ha potenzialità enormi ma anche limiti strutturali e organizzativi. Se agli alunni facciamo avvertire anche in tempi ordinari la preziosa pluralità dei saperi, l’importanza della collegialità delle decisioni e la bellezza della coralità delle azioni, se guidiamo le famiglie a riconoscere nella normalità la complessità dell’organizzazione di cui fanno parte, se tra insegnanti sperimentiamo con convinzione il lavoro di squadra, è lì che “la qualità” diventa un corredo di comportamenti e strumenti che in momenti straordinari consentono di mettersi in commessione circolare in modo più facile e con immediatezza, in atteggiamento di spontanea cooperazione e spirito di adattamento efficace, arrivando ad attivare nuove opportunità formative per tutti grazie ad sinergie già allenate.
Se la pratica della comunicazione tra gli operatori della scuola e in particolare tra docenti e allievi è quella del dialogo sincero, se l’essere propositivi si sviluppa senza voler primeggiare o apparire e senza eccessivo dirigismo, sicuramente si realizza in ogni momento una comunità autentica dove ciascuno è attore non solo perché richiamato al senso di responsabilità ma piuttosto perché sa e vuole essere attivo in mezzo agli altri, nelle fatiche ordinarie e straordinarie dello stare insieme.
Il mio impegno “di qualità” a scuola vuole essere anzitutto investimento sulla relazione, con una reciprocità a volte anche esigente per l’attesa di un ritorno, ma prima di tutto generosa.
Se riconosco i bisogni e gli interessi degli studenti, se dialogo con loro in modo credibile e costante, divento per loro un punto di riferimento per avere consigli che esulano dalla preparazione degli esami o da questioni sui debiti formativi e che riguardano invece le scelte del futuro o i problemi familiari che accompagnano le decisioni da prendere ogni giorno; loro stessi riconosceranno in modi diversi il mio essere persona, le mie passioni e si impegneranno per ricambiarmi con la loro attenzione, ad esempio coordinandosi spontaneamente per facilitare un’attività in caso di mia assenza o chiedendomi ogni giorno “Prof, come sta?” o aiutandomi benevolmente a capire alcuni aspetti tecnologici che posso mettere in atto proprio ora che ci viene indicata la necessità di operare con la lezione on-line.
Mi piace pensare che il docente voglia instaurare una buona relazione cercando di porsi non solo come esperto lavoratore della scuola e competente insegnante, ma come persona limpida e cittadino coerente, con alcuni limiti umani e professionali, certo, ma tanta motivazione e tanta spontaneità nel fare narrazione di se stesso e delle sue esperienze, così come tanto appassionato nell’ascoltare le storie dei ragazzi, ben sapendo fin dall’inizio che i loro interessi non possono esaurirsi nei tempi e negli spazi della scuola o rispondere solo alle richieste della propria disciplina.
Nonostante il periodo che viviamo sia piuttosto sterile in termini di riconoscimento degli uni con/per gli altri e nonostante il sistema economico sia più propenso a promuovere relazioni utilitaristiche e frammentarie, mi sta a cuore pensare che nella nostra comunità scolastica, nonostante tutte le difficoltà organizzative e strutturali, si possano ancora promuovere dei legami sinceri attraverso confronti animati con gli alunni e grazie a patti continuamente rinnovati in termini di obiettivi e strategie condivisi, nello sforzo comune quotidiano di un continuo ritrovarsi in una sfida educativa che non porti solo a verifiche e livelli di valutazione ma ad esperienze interiorizzate di crescita. La formazione “di qualita” è quella che rende vivo il curricolo inserendo ogni ora di lezione (anche quella virtuale!) in un contesto generativo di confronto, di apertura agli altri e di partecipazione alla vita della scuola, come prima opportunità per sperimentare una tensione progettuale costruttiva rispetto alla vita lavorativa futura.
Ogni attività, dentro e fuori dall’aula, è un investimento sui valori (ad esempio quello della lealtà) e sui comportamenti (ad esempio quelli solidali), contemporaneamente all’acquisizione delle conoscenze tecniche; ogni indicazione di studio comporta l’indicazione di attitudini da mettere in atto (ad esempio la puntualità organizzativa è importante quanto la generosità operativa).
Non vivo mai la didattica curricolare in contrasto con le opportunità extracurricolari rifiutando di vivere con l’ansia del programma da svolgere, perché sono convinta che la relazione tra insegnante e studente sia ancora più autentica nelle attività “di progetto” e che le uscite sul territorio siano occasione di interiorizzare meglio e con senso critico aspetti culturali fondamentali e competenze di cittadinanza.
Nel primo biennio della scuola secondaria di II grado l’ascolto e il dialogo sono ancora più importanti, in una fase dell’adolescenza che vede l’alunno fare fatica ad esprimere le proprie emozioni e a mettere a fuoco i suoi bisogni, senza capacità di autocontrollo e con alte pretese di attenzione da parte dell’adulto o, all’opposto, con una volontà quasi morbosa di cancellarsi, di non apparire. Tutto si gioca nella relazione attraverso stili di comunicazione idonei a suscitare fiducia o rassicurazione e attraverso attività formative che facilitino scambio di opinioni e cooperatività.
Resta prioritario “prendersi cura” dello studente e prestare attenzione ai talenti e alle fragilità dell’alunno, collegabili alla situazione familiare e a precedenti esperienze che possono influire positivamente o negativamente sulla socializzazione e sull’apprendimento; certo il processo di accoglienza che si sviluppa ogni giorno può trovare ostacoli nelle gravi trasgressioni che alcuni alunni fanno e nella difficoltà di rapporti che vanno ricomposte continuamente nella logica della fiducia. Le scelte di alleggerimento dei contenuti non devono spaventare se lasciano spazio all’alunno per mettersi alla prova in situazioni di compito operative e anche creative. E’ quanto meno prioritario oggi che la scuola alleni i più giovani a superare atteggiamenti passivi o violenti, che li renda abili a sperimentare azioni sentite come utili per loro e per sentirsi in armonia con gli altri, capaci di gestire in modo attivo e pacifico processi di cambiamento per la loro scuola, per l’ambiente, per l’economia.
Ops… Devo interrompere questo mio racconto. Gli alunni mi contattano per sapere del prolungamento della sospensione delle lezioni e delle future attività… i colleghi mi cercano per uno scambio di opinioni sull’accesso alle piattaforme digitali … una mamma mi contatta per un chiarimento su un compito assegnato … alcuni ex alunni mi lasciano un messaggio per un caffè e due chiacchiere da condividere al più presto…
Forse non sbaglio se dico che la scuola è un bell’intreccio di legami che possono essere significativi se vissuti come prove continue di relazione che consentano di farsi largo con civiltà nel mondo, affrontando ogni complicazione ed emergenza.