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Conoscere e meravigliarsi, conoscere è meravigliarsi

Di Paolo Santori


Qual è il principio della conoscenza? Platone ed Aristotele non avevano dubbi.
Ciò che dà origine alla conoscenza è la meraviglia in atto, cioè il meravigliarsi (thaumazein).

La filosofia, madre e figlia della conoscenza, nasce dalla meraviglia ed è Socrate in uno splendido dialogo platonico (Teeteto) a ribadire “è proprio del filosofo, questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia”. È bello e significativo il riferimento alla meraviglia che è sempre qualcosa di inatteso, improvviso, inaspettato. Lo stupore suscitato dalla meraviglia non può esser previsto, anticipato, o non sarebbe tale. La conoscenza sembra invece avere a che fare con ciò che è prevedibile, stabile, raggiungibile con metodico impegno e costante dedizione. 

È in questa dialettica senza sintesi, nella tensione incessante tra i due poli opposti, nella ‘opposizione polare’ tra meravigliarsi e conoscere, per usare la felice espressione di Romano Guardini, che vive l’esperienza umana della conoscenza. Il punto di contatto, dove la tensione emerge in tutta la sua potenza e indecidibilità, è la domanda. La meraviglia suscita una domanda ma è ancor prima suscitata da una Domanda. Il conoscere è la Domanda con la D maiuscola dell’umano, il suo continuo desiderio di arrivare alle cause ultime, al perché delle cose. Se necessario, di varcare le colonne d’ercole e avventurarsi in acque poco sicure per scoprire, magari, che non c’era nulla ad aspettarlo: “né la tenerezza per mio figlio, né la devozione per il mio vecchio padre, né il legittimo amore che doveva fare felice Penelope poterono vincere in me il desiderio che ebbi di diventare esperto del mondo, dei vizi e delle virtù degli uomini”. Dante fa parlare Ulisse nella Commedia, ma dietro Ulisse c’è l’umanità, ci siamo noi. Ed il messaggio è chiaro: la conoscenza è una cosa seria, qualcosa che ci riguarda, che mette in gioco la nostra esistenza. Tanto è forte il suo richiamo – la conoscenza è una delle vocazioni più intime dell’umano – che neanche la tenerezza, la devozione, l’amore, a volte riescono a ‘vincere’.

Il mondo cristiano intuì che dentro lo thaumazein c’è anche l’admirari, l’ammirare. Tommaso D’Aquino così unì la filosofia greca e la rivelazione cristiana, rivelando un terzo termine nella dialettica senza fine tra conoscenza e meraviglia: la bellezza. C’è una dimensione estetica nella conoscenza, non solo nel senso che vogliamo conoscere ciò che riteniamo bello, ma che c’è anche bellezza nello stesso atto di conoscere.

Conoscenza e bellezza hanno in comune anche la gratuità. Quasi sempre conosciamo per un fine, ma la conoscenza è anche fine a se stessa. C’è un’immagine che Tommaso riprende da Aristotele, quella della voce del cervo. Per il leone la voce del cervo vuol dire promessa di un pasto imminente; per l’essere umano è invece meraviglia davanti a qualcosa di bello, che desta sì il desiderio di conoscere ma non la volontà di appropriazione. Quanta conoscenza viene oggi giudicata inutile perché gratuita, cioè non legata ad un fine immediato. Quanta viene scartata perché non legata agli interessi o al potere costituito. Eppure la conoscenza, anche quella cercata per un fine, è sorella di meraviglia e bellezza, figlie entrambe di libertà e gratuità. Questa è una lezione del mondo antico che oggi sembriamo aver dimenticato, una saggezza a cui non abbiamo più accesso ossessionati dalla quantità di dati e informazioni.

Forse è questo quello che T.S. Elliot voleva urlarci insieme al suo coro ‘la Rocca’: “Dove è la saggezza che abbiamo perduto nella conoscenza? Dove è la conoscenza che abbiamo perduto nell’informazione? “(Where is the wisdom we have lost in knowledge? Where is the knowledge we have lost in information?). Ma non dobbiamo disperare, perché non siamo mai soli a meravigliarci e conoscere, siamo sempre in due o più. E dove due o più sono insieme, amici nella conoscenza, anche non trovare niente alla fine del viaggio cambia prospettiva. In fondo, il fatto che Dante incontri Virgilio proprio nella selva oscura è tra i più bei messaggi di speranza e di conforto che la Poesia ci abbia mai lasciato (‘ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai’).

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