
Quali sono le principali differenze tra un’impresa “normale” e un’impresa benefit? Lo abbiamo chiesto a Francesco Mondora, fondatore e Ceo di Mondora, fra le prime aziende in Italia ad ottenere la certificazione B Corp e a trasformarsi in società benefit. Francesco Mondora è anche consigliere di Assobenefit, l’associazione delle società benefit di cui fa parte anche (RI)GENERIAMO, la società benefit sostenuta da Leroy Merlin.
In cosa le società benefit sono differenti?
Le imprese che rigenerano sono “imprese-organismo”, come a me piace definirle: cioè hanno un cuore, un respiro, sono organismi viventi. Questa è la grande differenza da quelle che possiamo invece chiamare “imprese-macchina”, che si concentrano sull’ottimizzazione dei processi. Che è una cosa giusta, come un’atleta che si allena per migliorare la sua prestazione, ma non basta per essere rigenerative. In realtà sono tante le imprese-organismo, ma non tutte vogliono etichettarsi.
Perché le “imprese-organismo” sono rigenerative?
La rigeneratività è caratteristica degli organismi viventi. Il corpo umano, ad esempio, continua a rigenerarsi: studi ormai dimostrano che si rigenera ogni sette anni. Per le imprese-organismo è lo stesso: sono alla costante ricerca di un loro equilibrio, che le identifica e in un certo senso le rende perfette, e per trovarlo si rigenerano continuamente. Sia internamente, sia nella relazione con l’esterno. Un’altra caratteristica fondamentale è che queste imprese hanno la consapevolezza di dover trovare un equilibrio nell’ambito delle relazioni di interdipendenza che hanno: con le altre aziende, con l’ambiente, la società, in generale con il resto del mondo. Per cui, ad esempio, non inquinare diventa una scelta logica, ancor prima che giusta, perché se inquino il mondo con cui sono in interdipendenza, mi faccio del male da solo. Così pure nelle relazioni con i collaboratori, i clienti, fornitori: se “inquino” queste relazioni, sto agendo contro il mio interesse, contro il mio equilibrio.
Perché è importante dichiarare di voler operare come “impresa-organismo”, o comunque ottenere un riconoscimento in tal senso?
Intanto perché anche l’organismo deve monitorare se sta bene o male, quanti battiti ha il cuore, com’è il respiro, l’ossigenazione e così via. Il processo di valutazione e di certificazione, penso alle B Corp, non è altro che il monitoraggio e la misurazione di come sta l’organismo, di quanto è o meno in equilibrio. E poi c’è la questione dell’intenzionalità, o vocazione. L’impresa deve cioè trovare il modo attraverso cui può dare intenzionalmente il proprio contributo a beneficio della collettività: su cosa, dove e come intende operare? Una volta che l’ha individuato, ha bisogno di uno strumento per dichiararlo al mondo. Diventando società benefit lo può fare attraverso lo Statuto, dove esprime la sua volontà di porsi e di essere riconosciuta come impresa-organismo. Così la finalità dell’impresa non è più solo quella, che comunque resta, di produrre reddito, pagare salari, risolvere problemi con i servizi e beni che realizza, ma c’è anche la finalità di produrre valore per il beneficio comune. Di perseguire un obiettivo anche non economico. Del resto è quello che probabilmente molti di noi si chiedono ogni giorno: oltre all’aspetto economico, quale obiettivo intendo conseguire con il mio lavoro? Il fatto è che siamo immersi in una cultura che ci porta a pensarci in una relazione esclusivamente funzionale con il lavoro. Ma ciò rischia di portare a quella che viene definita “stupidità funzionale”, dove la relazione funzionale è tutto. In questo modo, però, non c’è spazio e non c’è modo per rigenerarsi. Bisogna creare dunque le condizioni, nel modo di operare dell’impresa e nei suoi meccanismi di governo, affinché chi ci lavora possa a sua volta poter sviluppare un processo rigenerativo. E questo si può ottenere, come proviamo a fare in Mondora, attraverso l’omologazione di pratiche non consuete.
Ci può fare un esempio?
Appena diventati B Corp, abbiamo definito una politica per la valutazione dei fornitori fondata su tre aspetti: l’efficacia del bene o servizio fornito; il buon prezzo; e il beneficio comune. Se il fornitore non ha chiaro quest’ultimo aspetto, lo aiutiamo a trovare le modalità con cui produrre beneficio comune, le definiamo contrattualmente e poi verifichiamo l’impatto prodotto. Lo chiamiamo accordo di interdipendenza. E lo utilizziamo per stimolare i nostri partner ad attivarsi su dimensioni che riteniamo importanti nella prospettiva dell’impatto sociale: dall’eliminazione della plastica da certi prodotti alla riduzione del consumo di carta, dalla cura per il benessere dei dipendenti al sostegno all’attività di istituzioni come la scuola ad esempio tramite la donazione di prodotti e servizi, e così via. La relazione commerciale, il nostro lavoro, sono a ben vedere una sorta di pretesto. Il vero fine è la produzione di un beneficio comune.
Vede un futuro in cui tutte le aziende diventeranno benefit?
Credo che tra non molto essere benefit sarà la normalità. La tendenza è netta e con l’emergenza Covid-19 lo è diventata ancora di più. La sola produzione di reddito, per un’azienda, o la sola ricerca di rendimento, per un investitore, non basta più, non permette cioè più di avere credito, credibilità, legittimazione sociale. Le organizzazioni devono occuparsi delle persone. Tutti noi sentiamo, e con la pandemia in maniera accentuata, che l’interesse comune, il beneficio comune è prioritario. Tutto ciò diventerà pervasivo. Si tratta di una sorta di nuovo umanesimo in cui possiamo dire che il nostro Paese, pioniere nell’introduzione delle società benefit, è all’avanguardia.