Dal rispetto della normativa alla valorizzazione delle pluralità

Di Maria Sofia Iadanza
Nata a Benevento (BN) il 29 gennaio 1996 ha conseguito il titolo di Laurea triennale in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione nel 2018 e il titolo di Laurea magistrale in Comunicazione d’impresa e politica delle risorse umane lo scorso nel maggio 2022.
Scrivere e raccontare di disabilità per chiunque si trovi fuori da questo confine è senza dubbio complesso e difficile.
La disabilità è uno status, una condizione, che solo chi vive può conoscere realmente. Chi non sa può cercare di immaginare, di immedesimarsi nella persona, nel suo vivere, nel suo pensare, nel suo sognare. Eppure nulla sembra essere giusto o appropriato.
Allora si cerca di usare i termini più opportuni, si modifica il linguaggio. Non si parla più di “disabile”, ma di “diversamente abile”, non si parla più di “diversità”, ma di “pluralità” e ci si chiede: tutto questo basta? Una parola è sufficiente a definire una condizione e a modificarne il significato? Forse no. Probabilmente è il pensiero stesso a dover essere cambiato.
Se si cominciasse a pensare unicamente alla persona, con i propri limiti e con le proprie forze, con le proprie difficoltà e le proprie capacità, con le proprie paure e i propri sogni, magari tutti saremmo, finalmente, considerati allo stesso modo, non uguali, ma unici.
Tale concetto, ovvero l’unicità, rappresenta il fulcro di questa ricerca.
Essere visti e riconosciuti per ciò che si è, permette all’essere umano di realizzare il proprio progetto di vita. Un progetto che include un’indipendenza e un’autodeterminazione in tutti gli ambiti della vita privata, sociale e lavorativa. Quest’ultima, in particolare, rappresenta una vera e propria conquista, perché il lavoro è uno strumento di identificazione e di crescita personale a cui tutti hanno diritto.
Date tali premesse, è chiaro come l’obiettivo principale sia quello di indagare come i concetti di disabilità e di lavoro si siano evoluti per dar spazio alla realizzazione di quella che viene definita inclusione lavorativa delle persone con disabilità.
L’intento è di esplicare e, allo stesso tempo, creare nuovi schemi di significato e nuovi sistemi di azione adeguati allo sviluppo di un mondo realmente inclusivo.
Il fine ultimo è quello di far comprendere che la disabilità non è una categoria da escludere, ma una risorsa da valorizzare perché può costituire un valore aggiunto e un vantaggio competitivo per le aziende.
I riferimenti teorici hanno origine, prima di tutto, dall’insieme di pratiche del Diversity and Inclusion Management, volte a valorizzare le diversità, a partire dalla descrizione e analisi delle principali forme di diversity, in particolare il ruolo delle donne nei contesti lavorativi, le relazioni intergenerazionali, le varietà etnico-culturali e le risorse disabili.
Relativamente a quest’ultima categoria, l’approfondimento riguarda la nascita e lo sviluppo del Disability Management, l’approccio gestionale che segna il passaggio da una logica di puro assistenzialismo alla valorizzazione delle risorse. Un cambiamento possibile anche grazie al contributo letterario dei Disability Studies e all’approccio bio-psico-sociale dell’ICF, entrambi in grado di trasformare e ripensare il concetto tradizionale di disabilità, legato esclusivamente al limite.
L’analisi, poi, non può prescindere dall’importanza della questione normativa, come chiave di volta nella tutela e gestione dei diritti delle persone disabili e nella trattazione dei doveri da parte dei datori di lavoro. Ambito in cui si presta maggior attenzione all’innovazione legislativa su scala globale e soprattutto nazionale, rappresentata dalla legge n.68 del 1999 e dal passaggio dal collocamento obbligatorio al collocamento mirato.
Tuttavia, è necessario riconoscere come oggi si sia verificato un cambiamento culturale che ha permesso di andare oltre il rispetto della normativa e mettere in atto una reale inclusione e valorizzazione delle pluralità. Pertanto, si introduce il concetto di “risorse disabili” come parte del capitale umano, il quale possiede capacità, competenze e potenzialità in grado di costituire una risorsa e un vantaggio competitivo per l’azienda, oltre le barriere e le discriminazioni.
Tali premesse hanno mosso la curiosità di indagare ed evidenziare l’impegno delle aziende per l’inclusione lavorativa delle risorse disabili.
È stato svolto un processo di analisi delle aziende e dei progetti messi in atto per favorire l’integrazione e l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità.
L’indagine esplorativa è stata finalizzata alla ricerca dei fattori e delle best practices da adottare in azienda, con l’obiettivo di includere i lavoratori con disabilità, andando oltre il mero obbligo di legge ed impegnandosi nel valorizzare le capacità e le potenzialità delle risorse disabili.
Tra i progetti analizzati, protagonista anche il progetto “FormidAbili”, realizzato da Leroy Merlin Italia in collaborazione con la società di benefit (RI)GENERIAMO, l’agenzia di ricerca e selezione AbileJob ed altre associazioni di respiro nazionale attive nell’ambito della disabilità.
Un progetto altamente ambizioso e sfidante con l’obiettivo di inserire persone con disabilità intellettiva all’interno dei negozi.
Per realizzarlo non è bastata una tradizionale forma di inserimento, ma è stato fondamentale lavorare sulla cultura dell’integrazione, della valorizzazione della diversità e dell’unicità. Questo è stato possibile grazie alla formazione, la quale ha investito tutto il personale, dai manager ai colleghi diretti.
L’espressione obbligo di legge è una frase che non è mai stata pronunciata. Si è parlato piuttosto di opportunità e inclusività.
La cultura di Leroy parla di persone. Le persone sono al centro. Tutti partecipano alla vita lavorativa, ognuno con i propri talenti e le proprie caratteristiche. Per questo bisognerebbe parlare di partecipazione, piuttosto che di inclusione e di unicità, piuttosto che diversità.
I risultati hanno confermato la tesi secondo cui le aziende, oggi, non considerano più la disabilità come un obbligo, un problema, o un timore, bensì come un’opportunità di crescita, di cambiamento e di innovazione. La chiave sta nel non sentirsi sole o abbandonate, ma sostenute, supportate ed accompagnate dall’innovazione normativa e, soprattutto, dagli strumenti e dalle capacità messe a disposizione da una rete di realtà organizzative, pubbliche e private, le quali costituiscono un ruolo fondamentale e determinante per le aziende stesse. A questo si accompagna il non avere paura, ma avere il coraggio e la curiosità di aprirsi a nuove sfide e scenari futuri.