
“Le comunità intraprendenti in Italia” è il titolo di un recente rapporto, il primo sul tema in Italia, pubblicato dall’Istituto di ricerca Euricse.
Cosa sono, cosa fanno e in che rapporto sono le comunità intraprendenti con l’economia a impatto sociale?
Ne parliamo con Jacopo Sforzi, ricercatore senior di EURICSE e responsabile del coordinamento scientifico del rapporto.
Che cosa s’intende per “comunità intraprendenti”?
Per definirle abbiamo considerato tre elementi fondamentali. Il primo è l’auto-organizzazione da parte di chi abita e lavora quotidianamente in un dato territorio e che ha il desiderio e la capacità di farsi carico e di provare a elaborare risposte ai problemi socio-economici della propria comunità. Il secondo è la generazione di un beneficio per l’intera comunità, cioè non solo per i soggetti direttamente coinvolti nelle organizzazioni che promuovono la realizzazione delle risposte di cui dicevamo. In altre parole, in una prospettiva di mutualità allargata. Il terzo elemento è che tutto ciò avviene facendo leva sulla partecipazione della comunità: significa che non ci si limita a offrire un servizio o a produrre dei beni, ma lo si fa attraverso la partecipazione diretta dei membri della comunità.
L’elemento della partecipazione sembra quello centrale: può approfondirlo?
Si riferisce alla gestione dell’organizzazione, al suo finanziamento, al modo in cui si definiscono le strategie, a come vengono realizzate le azioni e le iniziative messe in campo. Significa adottare una prospettiva di costante allargamento del campo d’azione a tutti i soggetti che possono contribuire in qualche modo a intercettare e definire un bisogno o contribuire con le proprie conoscenze e competenze. Chiaramente, quando si parla di partecipazione il tema decisivo è l’identificazione degli strumenti più adatti per garantirla. È evidente che chi è dentro la base sociale dell’organizzazione promotrice partecipa in un certo modo, chi ne è all’esterno partecipa in modo diverso. L’analisi delle diverse modalità di interazione e dei processi partecipativi non era tuttavia fra gli obiettivi di questo primo rapporto e l’approfondiremo nelle successive fasi della ricerca, che sono già in corso, andando ad osservare quanto questi strumenti sono influenzati dal tipo di organizzazione e/o dal tipo di azioni che si vogliono porre in essere. Un obiettivo di questa prima mappatura generale era invece capire quali e quanti sono i soggetti che – evidentemente perché riconoscono il valore sociale ed economico che questi processi di auto-organizzazione possono sviluppare – promuovono e sostengono le comunità intraprendenti, che secondo la nostra mappatura sono oggi in Italia 687.
Vi aspettavate un dato simile?
La quantificazione del fenomeno nel suo complesso era fra i nostri obiettivi principali, anche se è un dato che potremmo considerare in qualche modo provvisorio, visto che il fenomeno è in continua evoluzione. Siamo andati a cercare le esperienze avviate in vari settori, dalla filiera del cibo alla rigenerazione urbana, dalle attività culturali al recupero delle aree interne e marginali. Non esistendo ovviamente banche dati al riguardo, il lavoro per provare a intercettare tutte queste esperienze è stato piuttosto impegnativo. Spesso, infatti, si tratta di esperienze molto diverse fra loro ad esempio per quanto riguarda gli obiettivi che si pongono, o per il tipo di organizzazioni che se ne fanno promotrici. Tenendo poi conto che alcune si sono dovute reinventare durante la pandemia per garantire servizi ulteriori rispetto a quelli loro tradizionali. Per questo motivo ci siamo concentrati soprattutto sulle esperienze e sulle realtà che hanno una struttura organizzativa già definita legate, ad esempio, al mondo cooperativo, o fenomeni che si stanno sempre più consolidando come le imprese di comunità o già consolidati come gli empori solidali.
Ci può fare qualche esempio di comunità intraprendenti particolarmente interessanti o innovative?
Ad esempio le portinerie di quartiere. Sul modello francese “Lulu dans ma rue” nato a Parigi si sono diffuse in Italia a partire dal 2016 con la prima esperienza a Milano. Sono presenti, ad esempio, a Torino, Trento, Roma, Bari, o in Veneto, tra Chioggia, Mestre e la stessa Venezia, dove fra i soggetti che le promuovono ci sono il Cavv – Csv Venezia, alcune Odv e Aps della Città Metropolitana di Venezia in partnership con Leroy Merlin. Le portinerie di quartiere del resto hanno attirato un particolare interesse con la pandemia, che ha in un certo senso obbligato a riscoprire la dimensione della prossimità. Altri esempi sono quello delle CSA (Comunità a Supporto dell’Agricoltura); delle Food coop, nuovi empori di comunità con la partecipazione dei cittadini nella gestione; dei Fab lab, dove è interessante notare come alcuni siano stati avviati da imprese e altri da enti pubblici, sempre con l’obiettivo di intercettare e soddisfare i bisogni emergenti della comunità sul territorio.
Esistono sovrapposizioni o affinità tra comunità intraprendenti e società benefit o B corp?
Ovviamente ci siamo chiesti, relativamente a tutte queste nuove forme organizzative o modalità operative che abbiamo analizzato, se c’è un ruolo che già svolgono o potrebbero svolgere le imprese tradizionali, le imprese sociali, le imprese benefit e le B corp. O, comunque, che relazione esiste tra questo mondo e le esperienze di comunità intraprendenti. Ad esempio, anche se non è menzionata nel nostro rapporto perché nata da poche settimane, la prima Food coop nata a Trento ha deciso di costituirsi come società benefit. Altre realtà che abbiamo intercettato si sono presentate come società benefit o come imprese sociali. Un approfondimento di questi aspetti è in programma nelle prossime indagini, in cui per ciascuna delle tipologie mappate stiamo conducendo una serie di interviste. Così come non mancherà contattare anche realtà, come la stessa Leroy Merlin, con cui queste Comunità Intraprendenti stanno in alcuni casi collaborando.
Con piacere. In ogni caso, in che relazione sono le comunità intraprendenti con quella che viene di solito definita economia a impatto sociale?
Il tema dell’ impatto sociale e della sua valutazione è ormai trasversale, dato che sempre più c’è l’esigenza di quantificare, oltre al dato economico, anche il valoro sociale che un’iniziativa o un’organizzazione produce. Elementi, questi, che sommati all’impatto ambientale, sono sempre più richiesti anche a livello normativo. Il lavoro sulle comunità intraprendenti che stiamo conducendo guarda alla loro capacità di avviare nuovi percorsi di sviluppo locale, che per definizione include l’aspetto economico, quello sociale e quello ambientale. Detto questo, però, credo che molto dipenda alla fine dal tipo di “lenti” che si indossano per guardare e studiare certi fenomeni: quali sono cioè gli elementi, o i temi, su cui ci si concentra. Il che, certe volte, dipende anche dalle epoche in cui si osservano i fenomeni: un tempo si guardava prevalentemente, per non dire esclusivamente, alla dimensione economica; poi è entrata nel campo visivo anche la dimensione sociale, soprattutto per il fatto che né l’ente pubblico, con la sua offerta standardizzata di servizi, né il mercato capitalistico tradizionale, si sono dimostrati in grado di rispondere alle mutate e diversificate esigenze sociali; ora siamo molto più attenti rispetto al passato al tema ambientale, per via della crisi climatica, e recentemente quella energetico. Per cui ad esempio, in questi ultimi mesi c’è moltissima attenzione alle Comunità energetiche rinnovabili (CER), anch’esse mappate nel nostro rapporto, ma la normativa europea che le regola risale al 2018, in Italia al 2020, solo che da noi, fino ad oggi, se n’è parlato molto poco a livello generale. C’è ancora meno memoria del fatto che parlando di comunità energetiche, il mondo cooperativo, guardando a quelle che vengono definite “cooperative elettriche storiche” nate tra a cavallo tra il XIX e XX secolo nell’arco alpino, aveva già dato vita a modelli di produzione e gestione dell’energia su base comunitaria. E ancora oggi esse possono rappresentare un modello a cui ispirarsi per costruire le nuove CER, anche se le normative oggi sono diverse.
Per restare sul tema dell’energia, vista la situazione attuale, è fondamentale parlare oggi di efficienza energetica e di contrasto alla povertà energetica, ma è anche importante ragionare su cosa vuol dire autonomia energetica e sulle modalità attraverso cui il nostro Paese potrebbe rendersi maggiormente autonomo nella produzione di energia e sempre meno dipendente da soggetti esterni. L’esperienza che proviene dall’analisi dei processi di auto-organizzazione delle comunità, e dall’idea di raggiungere collettivamente obiettivi che da soli non si sarebbe in grado di raggiungere, a nostro avviso è un elemento fondamentale per ragionare anche in quest’ottica. In un contesto certamente di dialogo tra attori diversi, pubblici e privati, ma anche di ricerca di soluzioni innovative per rispondere ai continui cambiamenti della nostra società.
Per elaborare soluzioni innovative, come sono le comunità intraprendenti, quanto è utile guardare a ciò che è stato fatto in passato, di cui magari si è persa memoria?
Direi che occorre mantenere una certa equidistanza tra lo sguardo al passato e lo slancio verso il futuro. Mi spiego: non dobbiamo “fare i nostalgici” perché ci sono modelli che pur essendo virtuosi in passato oggi potrebbero essere difficilmente riproponibili, perché la società è cambiata. Ugualmente, la ricerca del nuovo a tutti i costi può rischiare di essere fine a sé stessa. Il riferimento al passato è doveroso, ma è necessario essere capaci di adattarlo e innovarlo alle esigenze del presente. E soprattutto delle generazioni future. Uno dei messaggi chiave del nostro rapporto, e questo è anche il mio pensiero, è che chi abita un territorio deve imparare ad essere attore del proprio processo di sviluppo locale. Il che significa impegnarsi per attivare processi partecipativi di cooperazione, certo non semplici, fra tutti i soggetti di varia tipologia e con finalità istituzionali differenti che condividono il fatto di vivere nello stesso territorio e la volontà di migliorare da un punto di vista sociale, economico, ambientale la qualità di vita della propria comunità locale, senza limitarsi ad attendere solo interventi dall’esterno, che potrebbero non arrivare o non essere funzionali a soddisfare gli interessi e bisogni di quella data comunità.