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Per un'”Italia Generativa”: intervista a Patrizia Cappelletti, coordinatrice dell’Alleanza per la Generatività sociale

Quando si parla di generatività, (RI)GENERIAMO è sempre molto interessata, avendola posta a fondamento della propria attività. Un’occasione speciale in cui se n’è parlato di recente è stata la presentazione a Roma in Senato del primo rapporto “Italia Generativa”, realizzato dal Centro ARC (Anthropology of Religion and Generative Studies) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Patrizia Cappelletti, membro di ARC e coordinatrice dell’Alleanza per la Generatività sociale, amica di (RI)GENERIAMO (è intervenuta al ciclo di eventi “Chiacchiere generative” promosso insieme a Leroy Merlin a FuoriSalone 2022), era fra i relatori dell’evento.

Partiamo dal titolo del rapporto: cosa vuol dire “Italia Generativa”?

Il titolo del rapporto deriva dal fatto che le lenti che abbiamo utilizzato sono appunto quelle della generatività sociale. Mi spiego: il rapporto ha fatto un’operazione se vogliamo un po’ strana e per questo innovativa. Per ogni tema che volevamo affrontare, infatti, ci sono già vere e proprie foreste di dati, di qualità e molto specifici. Allora, con grande umiltà e assumendoci tutti i rischi dell’operazione, abbiamo cercato di fare sintesi: abbiamo provato a osservare e analizzare questi dati in modo diverso, entrando in una logica integrale, complessa e allo stesso tempo molto concreta. Con le lenti, appunto, della generatività sociale, che a nostro avviso sono particolarmente feconde per leggere l’Italia. Il nostro è un tentativo di proporre la generatività come una nuova base culturale da cui partire per interpretare la realtà, in una prospettiva di razionalità personale, collettiva, istituzionale. Si tratta di raccontare un nuovo agire in cui tutti gli attori sociali sono interdipendenti e allo stesso tempo aderiscono a qualcosa di più grande: una comunità, un territorio, un Paese. È proprio la combinazione tra interdipendenza e adesione che può riaccendere il desiderio di ciascuno di contribuire, in modo personale e originale. L’approccio che abbiamo utilizzato, se non vogliamo chiamarlo proprio ottimista, è dunque aperto alla dimensione del possibile e cerca di guardare soprattutto agli elementi positivi del nostro Paese.

Guardandolo con le lenti della generatività, che Paese si vede?

È un’Italia in surplace, cioè in una posizione ambigua: è un Paese che ha la forza di issarsi sui pedali della bicicletta, ma che sta impegnando energie, capacità e risorse non per scattare in avanti, bensì per fare un gioco di bilancino, per mantenere la posizione. Il che si traduce in una situazione di stallo, di ripiegamento su sé stessi, dove manca una visione strategica: il rapporto fotografa questa situazione definendola di dispersione intergenerazionale. E interessa tutti gli ambiti: istituzioni, imprese, famiglie, individui.

Su cosa occorre puntare per uscire dallo stallo?

La contribuzione riguarda tutti: persone, famiglie, imprese, soggetti del Terzo settore, istituzioni. Per avviare trasformazioni davvero incisive servono però azioni concertate, vere e proprie policy che abbiano la capacità il coraggio di avviare nuove alleanze e nuovi processi, in modo efficace, efficiente, sensato e responsabile, in grado di generare valore multiforme, economico, sociale, culturale. Il punto centrale, insomma, è che occorrerebbe investire per rigenerare e riadattare continuamente le condizioni che permettono lo sviluppo. Cosa che un Paese in stallo, anche se ricco di energie, fa molta fatica a fare, perché più interessato e impegnato a mantenere l’esistente. Certo, ci troviamo in uno scenario globale caotico, fonte di grande incertezza, ma bisogna comunque sforzarsi di gettare lo sguardo al di là del qui e ora, di immaginare il futuro. Magari proprio a partire dai punti di forza del nostro Paese, dalle sue aree più promettenti. Ne cito solo una, fra quelle che nel rapporto abbiamo evidenziato: il riciclo dei rifiuti e il riutilizzo di materiali provenienti dal riciclo, dove l’Italia è leader in Europa. Più in generale la sostenibilità, ambito nel quale l’Italia dispone di energie, di attenzione, di capacità che potrebbero essere messe ulteriormente a valore. Nel rapporto comunque cerchiamo di prendere esempio anche da buone pratiche dall’estero. Ciascun capitolo, ad esempio, si conclude con casi di politiche, prese da altri Paesi europei, che hanno molti elementi in linea con la generatività. Del resto la partita della generatività si giocherà proprio sul piano delle politiche: è attraverso le politiche che si dovrà cercare di accendere e tenere sempre vivo il desiderio di contribuzione.

Come s’inserisce in questo scenario la filosofia dell’impatto sociale?

Nel rapporto preferiamo parlare di contribuzione, piuttosto che di impatto, perché dà il senso della libertà creativa con cui ciascuno può contribuire alla generazione. E perché è focalizzata sui processi, più che sui risultati puntuali, cioè sull’attivazione di dinamiche nel tempo. In ogni caso, dato che uno degli obiettivi del rapporto era riconoscere ed evidenziare i movimenti, i dinamismi, i fermenti socio-economici positivi del Paese, nel capitolo 5 dedicato all’Intraprendere ci siamo interrogati specificamente su quali sono le forme più generative che l’impresa può assumere. In particolare, sulle nuove forme che riconcettualizzano il senso dell’impresa nel senso della contribuzione. E fra i nuovi modelli di intrapresa, la diffusione delle Società Benefit e B Corp è sicuramente uno dei fenomeni più interessanti e, appunto, più in movimento.

Sostenibilità, interdipendenza, desiderio di adesione, contribuzione: è intorno a questi concetti che prenderà forma un’Italia più generativa?

Dire di sì, specie se si guarda ai più giovani e alla loro crescente ricerca e aspettativa di lavori che abbiano un purpose, un senso profondo non solo economico: una prospettiva che è chiaramente di contribuzione. Se ci pensiamo, nei decenni passati le generazioni più giovani si sono aggregate intorno a temi come il la partecipazione civica, il volontariato, la solidarietà, che hanno rappresentato le leve su cui ad esempio si è costruito un Terzo settore estremamente diffuso e importante. Questa fase è stata fondamentale, ma ormai si è chiusa. Però se ne potrebbe aprire un’altra, simile, che faccia leva appunto sui temi della sostenibilità, sulla consapevolezza dell’interdipendenza, sul desiderio di adesione a iniziative e progetti di contribuzione. Bisogna però evitare che questi temi, in particolare la sostenibilità, si trasformino più che altro in procedure, in standard, in codici e misure da adottare. La sfida è far sì invece che siano generativi di fiducia, di legami, di desiderio di cura del territorio. La sostenibilità può davvero diventare la nuova cornice del bene comune, capace di attivare tutta una serie di convergenze, alleanze, interessi che potrebbero far fare al Paese lo scatto in avanti di cui si diceva, uscendo dallo stallo. Serve una sostenibilità autenticamente generativa, una sostenibilità fondata sul desiderio di contribuire, che è poi la condizione essenziale affinché la sostenibilità si concretizzi realmente.