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“La Scuola del Pane e dei Luoghi”: come fare impresa a impatto sociale tra pane e territorio

Il Master “La Scuola del Pane e dei Luoghi” è un percorso di apprendimento innovativo, sostenuto tra gli altri da (RI)GENERIAMO, che ha preso il via pochi giorni fa presso il Padiglione Chiaravalle (vicino alla celebre Abbazia, a Milano), che ne è la sede principale ma non l’unica. La proposta del Master s’inserisce nel contesto di un più ampio progetto intitolato Madre Project. Per saperne di più abbiamo chiesto a Claudio Calvaresi e Andrea Perini, rappresentanti rispettivamente di Avanzi e Terzo Paesaggio, due delle tre realtà (l’altra è il Panificio Davide Longoni), che hanno avviato il progetto.

Com’è nato Madre Project?

Madre Project ha preso forma nel 2020 ed è partito grazie a una campagna di raccolta fondi tra fine gennaio e fine marzo 2021 che ha utilizzato il dispositivo di crowdfunding civico del Comune di Milano, sostenuto con le risorse del PON Metro Milano 2014-2020: se avesse raggiunto un certo numero di donatori, il Comune avrebbe messo a disposizione risorse a fondo perduto per coprire la parte restante dell’investimento richiesto dal progetto. L’obiettivo era raccogliere 32mila euro e già nel primo dei due mesi mese l’abbiamo superato, con oltre 40mila euro offerti da 360 donatori. Con l’intervento del Comune siamo arrivati a quasi 80mila euro. Ci sono stati donatori individuali, chi con quote contenute, chi con importi maggiori; hanno donato imprese del mondo della panificazione, come ci si poteva attendere; ma ci hanno sostenuto anche imprese da altri mondi, ad esempio importanti produttori di vino naturale come Mateja Gravner e Elena Pantaleoni; poi studenti, alcuni dei quali hanno donato già col preciso obiettivo poi di partecipare al percorso formativo che la campagna annunciava. La composizione molto varia dei donatori è stata un fattore fondamentale che ci ha aiutato a dare forma al progetto. Un altro fattore decisivo è stato il forte desiderio di cambiamento che si avvertiva in quei mesi segnati dall’emergenza pandemica. Tante persone sentivano l’esigenza di cambiare le loro vite, anche professionalmente, come ha evidenziato il fenomeno delle “grandi dimissioni” descritto dalla sociologa Francesca Coin, che abbiamo incrociato nel nostro percorso. Madre Project quindi è stato plasmato per cercare di dare risposte a questa voglia di cambiamento e di farlo con una pluralità di linguaggi, per accogliere le esigenze di persone con provenienza anche molto diversa. È stato un processo partecipativo, di co-creazione.

Perché il pane al centro?

L’idea non era aprire un’altra scuola di specializzazione sul pane, ce ne sono già tante e ottime. Attraverso il pane e tutto ciò che rappresenta, invece, volevamo provare a stimolare le persone a pensare con il pane, nel senso di “attraverso” e “per” il pane. Il pane, per noi, è un dispositivo di condivisione, un mezzo per agire una nuova relazione con la Terra e con le persone. La panificazione, il fare impresa legata al pane, cioè, è intesa come un’attività che contribuisce a generare i luoghi, il paesaggio. Alla fine la nostra proposta si può leggere in senso lato come un public program, dove c’è il percorso formativo ma, collegate, ci sono altre attività che continuano tutto l’anno. Per vedere se tutto ciò poteva funzionare, abbiamo fatto dei test.

Quali test avete effettuato?

A febbraio 2022 abbiamo organizzato una settimana pilota in cui abbiamo messo alla prova i principali contenuti del master, articolati intorno alle tre dimensioni pane-paesaggio-impresa. Hanno partecipato, su base gratuita, un gruppo di quindici persone. E sono intervenuti personaggi quali padre Enzo Bianchi, che citando i Salmi ha ricordato che il pane sta già nella terra ma è solo l’uomo che sa estrarlo alla vita, o come il compositore Alessandro Solbiati, che ci ha parlato del Canto della Terra di Gustav Mahler. Il test ci ha confermato che pane-paesaggio-impresa sono dimensioni che non solo possono stare insieme, ma insieme diventano generative. Per questo il Master lavora sull’idea che aprire oggi una bottega del pane non significa solo saper infornare e mettere in vendita i prodotti, cose ovviamente necessarie; ma significa anche stabilire relazioni con la città. È un’intrapresa con una dimensione sociale importante. Una ragazza che si è poi iscritta al Master, per esempio (gli iscritti a questa prima edizione sono 13, in maggioranza donne), ha dichiarato di voler aprire una bottega in un quartiere multietnico della sua città con l’obiettivo di farne un centro di comunità. Abbiamo anche testato le attività, di cui parlavamo prima, collegate al percorso di apprendimento. Ad esempio, abbiamo coinvolto attraverso visite e laboratori un migliaio di bambini di otto scuole del territorio attorno a Chiaravalle, con l’idea di stimolare la stessa scuola ad entrare in relazione col territorio. Volevamo provare a fare noi stessi ciò che poi avremmo proposto nel Master.

Com’è strutturato il Master?

Il Master è partito il 28 settembre e avrà durata semestrale, fino a fine febbraio 2024. Prevede anche lezioni online, ma soprattutto sessioni in presenza, con week-end e settimane intensive, anche in altre sedi. A fine ottobre ad esempio saremo a Monghidoro (Bologna), dove conosceremo il progetto dei “grani alti” di Matteo Calzolari, uno dei primi panificatori che si è caratterizzato per un forte rapporto con la terra: con lui parleremo di agricoltura rigenerativa e sperimenteremo la panificazione notturna, che oggi si è un po’ persa. Ritrovarsi in presenza del resto è fondamentale per quanto riguarda le relazioni di cui dicevamo ed è assolutamente indispensabile, oltre che evidentemente per fare il pane, per andare insieme alla scoperta, attraverso esplorazioni urbane, di attori e iniziative che possono trasformare la città. In programma ci sono anche ospiti e testimonianze: ad esempio quella di Annalisa Metta, che insegna Progettazione del Paesaggio all’Università Roma Tre, autrice del libro “Il paesaggio è un mostro”. Sin da subito, inoltre, c’è l’avvio del lavoro, che abbiamo chiamato “My beautiful bakery”, sull’idea di impresa sociale.

Vista la centralità dell’esperienza sul campo e delle sessioni in presenza, si può definirlo un Master esperienziale?

Esperienziale è una parola cruciale, ma è anche abusata. Lo definiremmo piuttosto un Master calato nelle pratiche. Crediamo che questa sia una cosa che ci differenzia da altre proposte formative dove di solito prima c’è l’aula, la teoria, poi arriva l’esperienza dove si testa la teoria: qui l’esperienza viene subito e si apprende attraverso quella.  Come pure si apprende nella relazione: con gli altri studenti, coi docenti, anche con la comunità e i luoghi, che possono insegnare molto.

A proposito di luoghi, Chiaravalle e la sua Abbazia sono famosi in Italia e nel mondo. L’avete scelta come sede principale del Master anche per questo?

Il Padiglione Chiaravalle è la sede principale (mi sa che non possiamo dirlo). Ma, come ricordavamo, visiteremo nei sei mesi anche altre sedi e luoghi. In ogni caso le ragioni della scelta sono diverse. Naturalmente questo luogo è fortemente caratterizzato dall’Abbazia, che con la sua storia millenaria ha influito tantissimo sul paesaggio e le relazioni. Ma è anche un luogo molto vicino alla città. Ed è anche vicino ai campi da cui i panificatori ricavano la materia prima. Tutti questi fattori ne fanno un luogo particolarmente fertile per situarvi i ragionamenti che proporremo al Master.

(RI)GENERIAMO è con piacere fra i sostenitori del Master. Cosa auspicate per lo sviluppo di questa “relazione”?

La riteniamo interessante da diversi punti di vista. Ad esempio in una prospettiva di collocamento di Madre Project all’interno di una comunità di iniziative, pratiche, esperienze, come appunto quella di (RI)GENERIAMO, che già lavorano sul tema della rigenerazione in modo multidimensionale: rigenerazione urbana, sociale, ambientale. Relazionarsi con (RI)GENERIAMO, inoltre, può consentire al Master e in generale a Madre Project di approfondire il tema della relazione sui luoghi di lavoro con persone con disabilità. Entrare in contatto attraverso (RI)GENERIAMO con una realtà come Leroy Merlin è anche molto interessante per comprendere come imprese transnazionali, con reti e volumi di attività molto significativi e impegnate sui temi dell’impatto sociale e della generatività, potrebbero sostenere una sperimentazione locale con ampie possibilità di modellizzazione e generalizzabilità.